La rosa nell’arte

Da sempre la rosa , nell’immaginario collettivo, è associata a significati e simbologie varie: può rappresentare, in base al colore, la passione e l’amore, la purezza, la vanità, la bellezza, la decadenza o la morte.

La rosa nell’arte è simbolo dell’amore che trionfa, è legata al mito di Venere e Adone, indica i martiri e i tormenti che hanno subito, la rosa bianca simboleggia la purezza virginale.

In questo post descriverò un’opera del pittore inglese Lawrence Alma Tadema, in cui la rosa è davvero protagonista: “Le rose di Eliogabalo” .

“Le rose di Eliogabalo”, Sir Lawrence Alma Tadema, 1888, olio su tela, coll. privata, particolare.

In questa tela viene descritto un avvenimento preciso, così riportato dall’Historia Augusta: “Eliogabalo sommerse i suoi ospiti, sdraiati sul triclinio mobile, con viole e altri fiori, così che alcuni, non riuscendo a liberarsi, morirono soffocati”(Historia Augusta, XXIX libro).

Sesto Vario Avito Bassiano fu il primo imperatore romano di origine orientale, discendente di Settimio Severo e sacerdote del dio Sole,  perciò detto Eliogabalo (El-Gabel). Salì al potere a 14 anni (218-222 a.C.), era bello, di una bellezza femminea, amava vestirsi di abiti sacerdotali di seta alla maniera orientale, era solito indossare ricchissimi gioielli e tiare preziosissime sul capo, usava cospargere di fiori i banchetti e i divani e poi passeggiarci sopra.

E fu proprio a causa di una delle sue eccentriche abitudini che, durante un banchetto, la festa si tramutò in una tragedia: Eliogabalo fece “piovere” dall’alto, attraverso un sistema di pannelli reclinabili, tantissimi fiori, così tanti e profumati che alcuni dei suoi ospiti morirono soffocati.

“Le rose di Eliogabalo”, particolare.

Alma Tadema riporta sulla tela un’atmosfera sensuale ed edonistica: in primo piano vengono raffigurati gli ospiti del banchetto, vestiti in maniera raffinata, sommersi dai petali che occupano gran parte del dipinto; in secondo piano vi è Eliogabalo, disteso sul triclinio, che osserva impassibile la scena. Accanto a lui siedono la nonna, Giulia Mesa, la madre , Giulia Soemia e la moglie. Sulla destra, con una colonna marmorea a fargli da sfondo, c’è un giovane biondo che guarda intensamente l’imperatore: è il suo amante.

La donna che fissa lo spettatore con sguardo serio e anche un po’ triste, invece, regge in mano un melograno, frutto che simboleggia la morte poiché venne mangiato da Proserpina prima della sua discesa negli Inferi. In alto dominano la scena una suonatrice di flauto doppio e una statua di Dioniso, ispirata all’originale conservata nei Musei Vaticani.

Alma Tadema, oltre a rendere con sapiente maestria i tessuti, i gioielli, i marmi e le suppellettili, ferma sulla tela l’attimo che precede la consapevolezza del tragico epilogo della festa: Eliogabalo e i privilegiati sono colti di sorpresa eppure ostentano indifferenza, gli ospiti sono sommersi dai petali ma nessuno tenta di liberarsi. Perché temere una cascata di fiori morbidi e profumati?

“Le rose di Eliogabalo”, particolare.

Alma Tadema sostituisce ai “fiori di viole ed altri fiori” del brano dell’Historia Augusta petali di rose e questo perché la rosa, in epoca vittoriana, simboleggiava la bellezza e la sensulaità ma anche la corruzione e la morte. Questo grande capolavoro, uno dei più famosi del pittore neopompeiano, mostra sì l’interesse per l’antico ma vuol significare anche il declino e la corruzione dei costumi dell’epoca vittoriana.

 

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